AUTORE: Paolo Sciortino

Non è facile intuire quale sia il legame operativo, oltre che ontologico, tra l’arte e una multinazionale di commercio elettronico come Amazon.com, soprattutto se a proporre la corrispondenza è un artista, alchimista ed enigmista, come Antonio Syxty, maestro di sublimi indagini sull’assurdità, esploratore coraggioso dei territori estesissimi della vacuità umana.

Allora sveliamo subito, prima che la filosofia si impossessi della meccanica o viceversa, e prima che la soluzione si allontani del tutto.

Il legame è l’universalità del messaggio, l’univocità ecumenica della parola e del segno, che nel percorso spaziotemporale globale tra mittente e destinatario, ovvero tra infiniti mittenti e incalcolabili destinatari (ma tutti ben computati, in verità), condensa ogni variabile, amalgama ogni identità, frulla tutte le specificità e consegna alla memoria dell’Uomo una, e una sola verità: Tutto è Vanità.

E la corrispondenza è nel Libro, contenitore universale. Da Borges, conterraneo e concittadino di Syxty, metafora del Regno in Terra di Babilonia. Entrambi sono nati a Buenos Aires. Babilonia, appunto.

Nel Libro dei libri, si intende, la Biblìa, la Bibbia.

O meglio, la corrispondenza si trova in quella parte della Bibbia che Voltaire catalogò nel suo Dictionnaire Philosophique come la più “empia” (forse perché la più autentica; licenza illuminista, forse) che è il Libro dell’Ecclesiaste. Il testo sacro che compulsa, descrive e, quasi, celebra, tutte le Vanità dell’uomo nel mondo imperfetto che gli è toccato dopo la Creazione.

Ma diremo di più, per non essere sconfitti dal Nulla. In quanto questo compete all’uomo: una guerra eterna contro la Vanità. Eternamente persa, si capisce, ma, almeno, con l’onore delle armi del pensiero e dello spirito. Con l’onore dell’arte, in definitiva.

Ecco gli ingredienti della formula.

Antonio Syxty, combattente veterano, cerca la pietra filosofale con intrugli da artista. Alambicca nell’arte, dove a suo dire si nasconde l’elisir che tramuta le sostanze umane in identità e persone.

Amazon connette le sostanze umane, non ancora identità, ma solo indirizzi e recapiti, nel limbo della rete. Il primo nome dell’azienda di e-commerce di Seattle era Cadabra, lo spezzone desinenziale della formula magica più antica e nota, abracadabra. Siamo sulla stessa pista magica, nascosta ai più, ma nota a tutti.

Il nome ebraico del libro dell’Ecclesiaste è Qohelet, che quanto il nome latino, e prima ancora greco, significa il radunante, colui che raccoglie i fedeli, oppure, come si direbbe oggi, colui che “connette”.

Ecco il legame che individua l’artista alchimista, che con questo suo lavoro dal bel titolo letterario, Amazon Papers, curato dalla benemerita ed esordiente galleria Simona Schiavi Art Gallery, nel quadro delle iniziative de Il Giorno per la promozione delle Anime nascoste di Milano, ha tracciato una mappa alchemica della verità del mondo: la via della Vanità.

Forse al termine del cammino – che non poteva essere se non una “mostra diffusa” e dispersa tra le “anime nascoste” di Milano – troveremo una risposta. Ma il cammino è lungo. Prepariamoci a soffrire. Non dobbiamo attrezzarci in modo particolare: stiamo già soffrendo, più o meno allegramente, come tutti noi sappiamo.

Il tracciato segue la scia di una profezia che parte da Re Salomone, presunto protagonista e autore implicito dell’Ecclesiaste, e finisce nel buco nero della contemporaneità, dove implodono le identità dei viventi, come centrifugate nell’infinito stoccaggio della Vanitas vanitatum, nella raccolta immane delle connessioni che opera Amazon.com, grande dispensatrice di merci per corrispondenza, nata da un frammento di formula alchimistica che all’origine spacciava soprattutto libri, urbis et orbis.

Ma ripartiamo da Voltaire, dal suo ghigno di cicisbeo beffardo, così come ce lo restituiscono i ritratti dell’epoca di Quentin de La Tour. È lui, il grande enciclopedista illuminato, ma non esoterico, che ci ha tramandato la lettura più scaltra e più veritiera dell’Ecclesiaste. Testo profondamente esoterico. E dunque alchemico. Accogliamo con gratitudine l’opera, ma abbiamo obiezioni.

Io e Syxty. Anzi, ce le ha Syxty, noi interpretiamo.

È con gli stessi occhi, infatti, e con lo stesso animo, ma con maggiore scienza di Voltaire (se non altro perché Syxty è nato dopo tre secoli e, si sa, le generazioni acquisiscono maggiori gradi di scienza), che ha riletto l’artista il libro più empio della Bibbia.

«Chi parla, in quest’opera, è un uomo disingannato dalle illusioni di grandezza, stanco dei piaceri e disgustato della scienza», annota l’autore del Candido, leggendo il testo arcaico, e si percepisce la stizza ideologica nella precisazione sul “disgusto” per la scienza (ancora lei), mito indiscutibile del tempo suo. «È un filosofo epicureo», così lo cataloga l’enciclopedista, «che ripete a ogni pagina che il giusto e l’empio sono soggetti agli stessi accidenti; che l’uomo non ha niente in più della bestia», ecco la prima manifestazione di empietà; «che sarebbe meglio non esser nati, che non c’è un’altra vita, e che non c’è niente di buono né di ragionevole se non il godere in pace il frutto delle proprie fatiche assieme alla donna amata», ed ecco sfogata anche l’altra parte, la più “empia”. «L’intera opera è di un materialista a un tempo sensuale e disgustato. Sembra soltanto che all’ultimo versetto sia stata aggiunta una frase edificante su Dio» – cara gratia…! – «per diminuire lo scandalo che un tal libro doveva provocare. I critici stenteranno a persuadersi che quest’opera sia di Salomone». E di seguito Voltaire, il candido pensatore, sempre attento ai diritti degli infanti sapienti, denuncia: «Non è naturale che abbia detto: “Sventura al paese che ha un re bambino!” Gli ebrei non avevano ancora avuto re simili. Non è affatto naturale che egli abbia detto: “Io osservo il viso del re”. È assai più verosimile che l’autore abbia voluto far parlare Salomone ma che, per quella mancanza di coerenza di cui son piene tutte le opere degli ebrei» – non è incoerenza, dolce e candido illuminato, è “comprensione del tutto”, è diverso! – «abbia dimenticato spesso, nel corso del libro, che stava facendo parlare un re. Quel che sbalordisce è che quest’opera empia sia stata consacrata fra i libri canonici. Se si dovesse stabilire oggi il canone della Bibbia, non ci si includerebbe certo l’Ecclesiaste», eppure fu incluso, da almeno una decina di concistori successivi, accettato, rispettato, canonizzato. Ma non adeguatamente divulgato, questo è vero. «Ma esso vi fu inserito in un tempo in cui i libri erano molto rari, ed erano più ammirati che letti», anche questo è sciaguratamente, irrimediabilmente vero, concediamolo a questa luce di intelletto e di spirito che ci ha fornito in catalogo enciclopedico quasi tutto lo scibile umano. «Tutto quel che si può fare oggi è mascherare il più possibile l’epicureismo che prevale in quest’opera». Ma sempre di mascherare, nascondere, in pratica, anche l’illuminista raccomanda. «Si è fatto per l’Ecclesiaste come per tante altre cose ben più rivoltanti; esse furono accettate in tempi d’ignoranza; e si è costretti, ad onta della ragione, a difenderle in tempi illuminati, e a mascherare l’assurdità o l’errore con allegorie» (Voltaire, Dictionnaire Philosophique).

“Rivoltanti”? “Assurde”? “Erronee”?

Voltaire, mio sacro amico! Caro François-Marie Arouet (ti voglio chiamare col tuo vero nome, dal momento che stiamo svelando identità).

Ma tu stavi parlando proprio della parte più sincera, più candida, più realistica dell’intero dettato di Cristo! Sempre che sia Lui ad avere “dettato”, si intende, e non si sia affidato a una pletora di interpreti.

Si sa: vertendi non est interpretandi, ma spesso lo è, eccome.

Altro che “rivoltante”, “assurdo” o “erroneo”.

L’Ecclesiaste ci aveva azzeccato! E per una imponderabile concessione della storia ci è pure arrivata intatta la sua verità, che è anche la nostra. Che è quella verità che Antonio Syxty ci riconsegna.

L’artista non nasconde più. Egli svela. O almeno si sforza di farlo.

Syxty combatte contro la vanità, sapendo che ne è sconfitto ma anche che ne conosce il segreto, come un highlander senza cotta di maglia, senza daghe né spade spaventose, ma con la compostezza di un mago Merlino, o di un Abraracourcix (che ha nel nome il prefisso magico di cui Amazon possedeva all’origine il suffisso cadabra), che non teme avversari perché si sta avvicinando al segreto della magica pozione che converte le persone in identità.

Come il ferro contiene l’essenza dell’oro, ma non ancora la quantità necessaria.

Egli combina gli elementi principali del filtro in una successione metodica e progressiva di formule, modulate su uno schema basico che è composto dall’essenza della formula: il cartone piegato che avvolge ogni oggetto che Amazon spedisce agli indirizzi del mondo. Decine di migliaia di milioni di invii, ogni giorno, ora, ogni minuto che Dio manda in Terra.

Il cartone, poi “spiegato”, adattato e spiaccicato sulla tela, o sul forex, o sul legno – poiché vari e variati sono i supporti materiali su cui Syxty dispone la materia dell’Essere (ovvero della Vanità) – prende naturalmente la forma di una croce.

Abbagliante richiamo, inevitabile confronto. Prima, abbacinante scoperta.

Poi l’arguto e sempre composto artista, che sa di non potersi lasciare prendere dall’oblio, poiché è nell’oblio che perscruta e agisce da investigatore, “sporca” i suoi lavori con campiture di vernici e resine tecniche, adoperate usualmente da lavoratori che non hanno ambizioni di scoperta, ma di servizio alla sopravvivenza dell’umanità.

Syxty se ne appropria, fa suo il gesto sapiente di stuccatori, cesellatori, smaltatori, antichi calafatatori di fasciami di navi, gessatori e spalmatori novelli di flatting, operai specializzati nell’ossidazione delle pareti.

E in tale gioiosa e sofferente ricerca, Syxty ritrova i suoi simili, oltre che una miriade di sconosciuti. Rivede Rothko, Rotella, Kline, e anche Burri.

Si, lo sappiamo, non c’è più convenienza nella citazione, nell’intertestualità. Ma il caso di Syxty, investigatore di anime, di coscienze e di identità, comprese quelle degli artisti che lo hanno preceduto, non è un caso di devozione o di plagio, è un atto dovuto di scienza e conoscenza.

Il risultato, anzi, i risultati, sono opere armoniose, equilibrate, pulite anche se sembrano sporche. Una sola opera, anche se sono decine. La stessa opera che tende alla perfezione dell’opera di Dio. Ma che, ovviamente, non raggiungerà mai, poiché nell’opera divina l’imperfezione è vastissima – in ciò sta il sublime –, e la perfezione è lasciata all’Uomo come sfida.

Chi ha sfidato Dio – e gli dei che lo hanno preceduto – ha bruciato le sue ali ed è caduto come una meteora.

Attento Syxty, stai procedendo sulla via della Vanità perché sai che è la via della conoscenza. E questo è un merito assoluto. Ma lo sai dove vai?

Allo stesso modo hanno pensato e hanno agito Ruggero Bacone, Giordano Bruno e Cagliostro. Tutta gente finita piuttosto male.

C’è una deroga di salvezza per gli artisti però.

E tra gli artisti, del Parmigianino, pensatore e agitatore di coscienze tanto quanto i suoi pari di cui sopra, ricordiamo un inquietante e bellissimo autoritratto in uno specchio convesso in cui l’artista cinquecentesco si riproduce con sagome alterate, sfidando evidentemente i limiti dell’equilibrio, appunto, imposti dalla coscienza, e deforma la propria stessa figura fino alla soglia della dissoluzione della propria coscienza. Della propria identità.

È il destino dell’artista: nella ricerca di se stesso egli cerca l’intera umanità, sapendo che è una vana ricerca. Ma non può che mettersi sulle orme del Nulla per trovare il Tutto.  E non può che essere seguito, come un predicatore scalzo, come una Cassandra impazzita, come un Savonarola inquisito e arso, come qualcuno che tutti amano ma i pochi che lo condannano bastano per decretarne il destino.

Syxty è un artista. Se non si perde, seguiamolo.